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La moneta non è di certo un’invenzione recente, ma se per gran parte della storia essa ha svolto un ruolo di intermediazione, oggi essa ha assunto una funzione predominante nell’economia, tramutandosi da mezzo in fine. La nostra economia è essenzialmente monetaria e il denaro è assolutamente centrale. Produzione, scambio e gli stessi bisogni che dell’economia dovrebbero essere il presupposto, sono posti in secondo piano rispetto al denaro.
L’altraeconomia rimette in discussione questo ruolo del denaro e ha già dato vita a numerosi esperimenti di economia non monetaria, ossia relazioni economiche che fanno a meno della moneta così come noi la conosciamo. Il più delle volte si tratta di recuperare idee dal passato, aggiornandole e adattandole alla realtà attuale.

All’interno di un circuito economico locale, su piccola scala, dove ognuno autoproduce dei beni e dei servizi (detersivi, ortaggi e altri alimenti, capi di abbigliamento, piccole riparazioni, formazione…) non è necessario utilizzare il denaro come intermediario. A volte può bastare il baratto, in altri casi sistemi più articolati, come le banche del tempo, la moneta locale e così via.
I sistemi di scambio non monetario si basano sul rapporto di fiducia tra persone che si conoscono direttamente. La fiducia è un bene che si propaga autoriproducendosi, man mano che si creano nuove relazioni sociali cresce il capitale di fiducia e la maggiore fiducia produce ulteriori relazioni. I sistemi di scambio non monetario su scala locale, l’economia informale basata sul rapporto umano piuttosto che sul denaro, animano questa dinamica, tant’è che in diversi contesti i sistemi di economia non monetaria sono utilizzati proprio allo scopo di rinsaldare il tessuto sociale.
Non si tratta di abolire il denaro (almeno per ora), ma di ridimensionarne il ruolo, di usarlo solo quando serve e di sostituirlo con sistemi più conviviali ogni volta che sia possibile.

Monete virtuali alla prova (ilSole24Ore – 23 Marzo 2015, Bianca Lucia Mazzei)

Le «Virtual Value» iniziano a diffondersi ma senza regole certe: è opportuno conoscerne i rischi.

Monete locali e moneta globale La rivoluzione monetaria del XXI secole di Tonino Perna

Forse, in futuro, rivoluzioneranno il sistema dei pagamenti mondiali ma per ora le monete virtuali vanno utilizzate con cautela, tant’è che sia la Banca d’Italia che l’Autorità bancaria europea (Eba) sono intervenute sul tema, evidenziandone i rischi. Al di là delle differenze (anche marcate), le Virtual Value (Vv) sono strumenti elettronici che possono essere usati come mezzo di pagamento, a patto che il venditore le accetti. I loro costi sono minimi, se non assenti, ma non sono emesse o garantite né da banche centrali, né da autorità pubbliche. Secondo Bankitalia, in circolazione ce ne sono oltre 500. […] La virtual coin più diffusa al mondo è bitcoin. Lanciata nel 2009 da un programmatore sconosciuto (se non con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto) è una valuta decentralizzata, convertibile nelle monete normali, priva di qualsiasi garanzia statale ma ormai accettata da molti venditori online: dal discount Overstock.com, ai colossi It come Microsoft e Dell, fino al portale di viaggi Expedia (la maggior parte dei venditori non conserva però i bitcoin ma li cambia con le valute nazionali non appena li riceve). […] Completamente diversa la filosofia della rete Sardex.net, un circuito di credito commerciale che permette agli imprenditori di pagare beni e servizi con una moneta complementare, il Sardex, il cui valore convenzionale è un euro ma non è trasformabile in valuta corrente. In pratica, alle aziende viene attribuito un conto corrente digitale attraverso cui scambiano beni e servizi. «È un mercato complementare e aggiuntivo che non sostituisce quello tradizionale», spiega Carlo Mancosu, cofondatore e responsabile della comunicazione di Sardex.net, che in Sardegna conta 2.500 imprese iscritte e 1.200 i dipendenti. «Dal 2014 il modello è stato esportato in altre sette regioni e ora sta partendo anche in Sicilia». «Sardex.net è un meccanismo che in un periodo di crisi – aggiunge Anna Vizzari – è riuscito a dare ossigeno a diverse attività imprenditoriali, permettendo di usare la liquidità per altri scopi»

Moneta completare. Sai cos’è? (e-book, Massimo Amato e Luca Fantacci, docenti dell’Università Bocconi)

Mai come in questi anni è emersa con chiarezza l’insostenibilità dell’attuale sistema monetario. Esempi di monete complementari nella storia ce ne sono stati diversi e se guardiamo al nostro presente, scopriamo che le monete complementari oggi sono sempre più diffuse e in grado di rafforzare i rapporti sociali nelle comunità che le usano. Nel sostenere e rafforzare il legame sociale, una moneta locale può generare maggiore sviluppo economico, minore diseguaglianza, maggiore accesso al credito e minore dipendenza da reti puramente informali o familiari. Ma una moneta complementare non è “buona” solo in virtù della sua esistenza: prospettare una soluzione locale, ma non localistica, a una crisi generatasi sui mercati finanziari globalizzati è un atto propriamente politico sul quale vale la pena riflettere.

LE MONETE COMPLEMENTARI PER USCIRE DALLA CRISI

“Se la radice del male economico rappresentato dalla crisi è la moneta stessa quale noi la conosciamo, allora è bene chiedersi se non si possa concepire un’altra moneta”. Da qui l’idea di “monete complementari” che devono però essere “migliori” di quelle ufficiali. Gli esempi positivi non mancano, e i casi citati, tra gli altri, del sistema Wir in Svizzera o di Sardex in Italia sono lì a dimostrarlo. Non basta infatti fare una moneta complementare, avvertono Amato e Fantacci, occorre farla bene. Quindi, con precise caratteristiche: un ambito di circolazione definito, uno scopo (se a servizio del marketing come i punti fragola di Esselunga o dello sviluppo locale come il Bristol Pound), la modalità di emissione, l’unità di conto, la convertibilità e l’accumulabilità. Su quest’ultimo aspetto, diventa fondamentale prevedere un “tasso di decumulo”, ossia un tasso di interesse negativo sugli accumuli di moneta complementare che incentivi le imprese partecipanti al circuito a spenderla. Detto ciò, come deve essere fatta una buona moneta complementare? Innanzitutto, ragionano i prof. bocconiani, deve rappresentare un circuito locale di compensazione di crediti ancorato con cambio 1:1 alla moneta ufficiale, non inflazionistico e all’interno di un sistema territoriale che agevoli l’incontro tra bisogni insoddisfatti e risorse inutilizzate. Va previsto un tasso di decumulo per favorire la circolazione, serve un’entità terza che funga da camera di compensazione registrando gli scambi e soprattutto la camera deve essere multilaterale: significa che se l’impresa X vende un bene all’impresa Y, il credito maturato potrà poi essere speso acquistando un altro bene dall’impresa Z, mentre Y dovrà saldare il suo debito vendendo qualcosa sempre all’interno del circuito. “Se crediti e debiti si compensano tra tutte le imprese” – spiegano Amato e Fantacci – “l’effetto macroeconomico del circuito è di sostenere la domanda locale senza aumento della quantità di moneta o della spesa pubblica ma solo con un aumento di scambi o di velocità di circolazione della moneta”. Ovviamente, maggiore è il numero di imprese locali coinvolte, maggiore è la possibilità che si possano spendere crediti e saldare debiti all’interno del circuito; un certo grado di dipendenza reciproca tra le aziende risulta quindi necessario.

Quali potrebbero essere, infine, gli effetti di una moneta complementare ben regolamentata? Maggiore domanda per le imprese, maggiore occupazione e salari più elevati per i lavoratori senza lo spettro dell’inflazione. “Non si tratta della panacea di tutti i mali” – concludono i due docenti -, “ma certo dell’inizio di una ricostruzione dell’economia, in vista di un rapporto più degno fra denaro e lavoro. Una moneta flessibile per un lavoro degno è la migliore risposta alla (sempre più inutile) richiesta di una (infinita?) flessibilità del lavoro in nome della difesa, tanto dogmatica quanto autodistruttiva, della rendita”.

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